domenica 14 agosto 2011

Anthem

  Anthem by Leonard Cohen on Grooveshark
Anthem - 1992 - The futureInno
The birds they sang at the break of day
Start again
I heard them say
Don't dwell on what has passed away
or what is yet to be.
Ah the wars they will be fought again
The holy dove she will be caught again
bought and sold and bought again
the dove is never free.
Ring the bells that still can ring
Forget your perfect offering
There is a crack in everything
That's how the light gets in.
We asked for signs
the signs were sent:
the birth betrayed
the marriage spent
Yeah the widowhood of every government
signs for all to see.
I can't run no more with that lawless crowd
while the killers in high places
say their prayers out loud.
But they've summoned, they've summoned up
a thundercloud
and they're going to hear from me.
Ring the bells that still can ring ...
You can add up the parts but you won't have the sum
You can strike up the march, there is no drum
Every heart, every heart to love will come
but like a refugee.
Ring the bells that still can ring
Forget your perfect offering
There is a crack, a crack in everything
That's how the light gets in.
Gli uccelli cantavano all'alba
Ricomincia ...
Ho sentito che dicevano...
non soffermarti su cio' che e' stato
o cio' che ancora deve essere.
Le guerre saranno combattute ancora
La santa colomba sara' ancora catturata
Comprata e venduta. E comprata ancora
La colomba non e' mai libera.
Suonano le campane che ancora possono suonare
Dimentica la tua offerta perfetta
C'e' una crepa in ogni cosa
E' questo il modo in cui la luce entra.
Abbiamo chiesto segni
Ed i segni sono arrivati:
La nascita tradita
Il matrimonio consumato
La vedovanza di ogni governo.
Segni per tutti da vedere.
Non posso piu' correre con questa folla senza legge
Mentre gli assassini nelle alte cariche
recitano le loro preghiere ad alta voce.
Ma hanno raccolto, hanno raccolto
Una nuvola di tempesta
E presto mi ascolteranno.
Suonano le campane che ancora possono suonare...
Puoi comporre le parti ma non otterrai la somma
Puoi disertare la marcia, non c'e' il tamburo.
Ogni cuore, ogni cuore verra' per amare
Ma come un rifugiato.
Suonano le campane che ancora possono cantare
Dimentica la tua offerta perfetta
C'e' una crepa in ogni cosa
E' questo il modo in cui la luce entra.



sabato 13 agosto 2011

Psycho

Tutta colpa dell’appartamento. Quello di Billy Wilder. Nel senso del film, con Jack Lemmon e Shirley MacLaine. Fu proprio quella (splendida) commedia a togliere a Alfred Hitchcock e al suo Psycho la soddisfazione di un Oscar. Per la cronaca il celebre giallo del non ancora sir Alfred ebbe quattro nomination: regia e scenografia in bianco e nero, che andarono appunto a Wilder, più fotografia in bianco e nero e attrice non protagonista, Janet Leigh, finiti rispettivamente ai dimenticatissimi Figli e amanti e Shirley Jones (Il figlio di Giuda). Ne è passato di tempo da quel 1960 e forse l’Academy, potendo ripensarci, farebbe altre scelte. D’altra parte Hithcock nella sua lunghissima (cinquantun’anni!) carriera di Oscar per la regia non ne ricevette mai manco mezzo. Roba da matti.

Dunque è trascorso mezzo secolo da Psycho. Con l’acca in America e nel resto del mondo, e senz’acca, ovvero Psyco, in Italia. Hitchcock ne ha fatti probabilmente di migliori, ma questo resta il suo marchio di fabbrica, il più celebre, il più terrificante e, senza dubbio, il più visto. Eppure il film ebbe una gestazione a dir poco difficile: la Paramount tergiversò, prima con la minaccia di un budget ridotto, poi tirando fuori la scusa pietosa che tutti gli studi erano occupati.

Ma ci voleva altro per smontare Hitch, che si rivolse subito alla Universal, ottenendo un preoccupato sì. Con l’imposizione di tempi strettissimi per la lavorazione e di uno sceneggiatore a basso costo, tale Joseph Stefano, un giovane newyorchese di origine italiana. L’uomo che ci voleva.

Hitchcock terminò le riprese in quarantadue giorni, un record di rapidità. Trovando però un inatteso alleato in Il fantasma dell’opera, un famoso film muto con Lon Chaney girato addirittura nel 1924, da cui ereditò, intatta, la casa spettrale, di fianco al motel maledetto, dove abita con mammà lo psicopatico Norman Bates. Una specie di villa gotica, che mette i brividi anche da lontano, con la fattiva complicità delle strizzevoli musiche di Bernard Herrmann. Ma ce ne vuole prima di arrivarci.

Chi ha visto Psycho (o Psyco) almeno una volta non può aver dimenticato la scena iniziale con Janet Leigh, una bionda naturalmente, come piaceva a Hitchcock, che in castissima sottoveste amoreggia con John Gavin, fin dove permetteva la censura. Quindi a torso nudo lui, in reggiseno (bianco) lei. Sarebbe stato più efficace il contrario, ma quelli erano i tempi. Poi la ragazza frega quarantamila dollari all’agenzia immobiliare in cui è impiegata, a fianco della figlia di Hitch, Patricia, bruttarella forte. Corre a casa, cambia la biancheria, infatti il reggiseno stavolta è nero, e parte per raggiungere il fidanzato. Per lei cominciano i guai. Per lo spettatore gli incubi.

Primo salto sulla poltrona quando lo zelante poliziotto s’avvicina alla macchina di Marion, che dorme sul ciglio della strada. Il secondo poco dopo, quando lo stesso agente, guarda con sospetto la fuggitiva ferma da un rivenditore d’auto, gli rifila la sua e ne compra, in contanti, una nuova. La pelle non è ancora d’oca, ma non manca molto. Basta arrivare al motel maledetto. Gli uccelli impagliati fanno una certa impressione, a Marion come allo spettatore e anche lo sguardo dell’allucinato Anthony Perkins manda lampi poco rassicuranti.

Ed ecco la doccia, che neanche i ripetuti successivi, meticolosi lavaggi di Edwige Fenech, sono riusciti ad offuscare. Janeth-Marion si spoglia, mostrando, a differenza dell’Ubalda, soltanto le caviglie, entra, tira la tenda e apre il getto d’acqua. Il resto lo conoscono a memoria anche i bambini dell’asilo. Ciò che forse ignorano è che per girare quella scena di quarantacinque secondi, Hitch ci mise una settimana, utilizzando ben tre controfigure della pudibonda vittima designata. Sul cui corpo, si badi bene, nonostante le tante, micidiali coltellate non resta neppure un segno. Nelle mani di un altro regista, specie oggi, il cadavere sarebbe più malconcio di una tela di Fontana.

Il tempo di riaversi dalla fifa blu e piomba in loco il povero investigatore Milton Arbogast, pronto a stramazzare sulle scale in una scena da far saltare il cuore ben in più su della gola. Per tacere della sequenza finale in cantina, con Vera Miles, guarda caso un’altra bionda, nel ruolo di Lila, la cocciuta sorella defunta. Ce ne vuole insomma prima che la palpitazione torni normale. Intanto il film, per festeggiare il cinquantesimo anniversario, torna in questi giorni nelle sale di tutt’Italia. E al noir in Festival di Courmayeur, il 12 dicembre lo vedremo in un rimasterizzato digitale 2K.