lunedì 26 dicembre 2011

giovedì 22 dicembre 2011

Un mondo di marionette

('http://www.youtube.com/p/07785C495EE7C02C?version=3&hl=en_US',)

martedì 29 novembre 2011

I'm your man

I'm Your Man (Album Version) by Leonard Cohen on Grooveshark
I'm your man
If you want a lover,
I'll do anything you ask me to.
And if you want another kind of love
I'll wear a mask for you.
If you want a partner take my hand.
Or if you want to strike me down in anger
Here I stand.
I'm your man.

If you want a boxer
I will step into the ring for you.
And if you want a doctor
I'll examine every inch of you.
If you want a driver Climb inside
Or if you want to take me for a ride
You know you can
I'm your man

Ah, the moon's too bright,
The chain's too tight
The beast won't go to sleep.
I've been running through these promises to you.
That I made and I could not keep.
Ah but a man never got a woman back
Not by begging on his knees.
Or I'd crawl to you baby.
And I'd fall at your feet.
And I'd howl at your beauty
Like a dog in heat.
And I'd claw at your heart.
And I'd tear at your sheet.
I'd say please, please.
I'm your man.

And if you've got to sleep
A moment on the road.
I will steer for you.
And if you want to work the street alone.
I'll disappear for you.
If you want a father for your child.
Or only want to walk with me
a while across the sand.
I'm your man.

If you want a lover
I'll do anything you ask me to.
And if you want another kind of love
I'll wear a mask for you.
Se vuoi un amante,
farò ogni cosa mi chiederai.
E se vuoi un altro tipo d’amore
Indosserò una maschera per te.
Se vuoi un partner, prendi la mia mano.
O sei vuoi colpirmi mentre sei in collera.
Sono qui.
Sono il tuo uomo.

Se vuoi un lottatore
salirò sul ring per te.
E se vuoi un dottore
esaminerò ogni centimetro del tuo corpo.
Se vuoi un pilota salta dentro.
Oppure, se vuoi fare solo un giro
sai che puoi contarci
Sono il tuo uomo

La luna è troppo brillante
La catena è troppo stretta
La bestia non andrà a dormire.
Stavo rivedendo queste promesse che ti ho fatto.
Che ho fatto e non ho potuto mantenere.
Ah ma un uomo non avrà mai una donna indietro,
non mettendosi in ginocchio,
o strisciando fino a te ragazza.
E cadendo ai tuoi piedi.
Ululerei alla tua bellezza
come un cane in calore.
E graffierei il tuo cuore,
e strapperei le tue pagine.
Direi per favore, per favore,
sono il tuo uomo.

E se avrai sonno
un momento, lungo la strada,
accosterò per te.
E se vuoi fare la strada da sola,
scomparirò per te.
Se vuoi un padre per il tuo bambino,
o se vuoi solo camminare con me
un po’, sulla sabbia.
Sono il tuo uomo.

Se vuoi un amante
farò ogni cosa mi chiederai.
E se vuoi un altro tipo d’amore
indosserò una maschera per te.



domenica 27 novembre 2011

Closing time

Closing Time by Leonard Cohen on Grooveshark

Beviamo e danziamo. La band e' davvero un avvenimento. E la saggezza di Johnny Walker si diffonde grandiosa. E la mia dolce compagna è l'angelo della compassione. Struscia mezzo mondo contro la sua coscia.
E ognuno che beve, che balla, fa una faccia felice per ringraziarla. Il violino suona qualcosa di cosi' sublime.
Tutte le donne si svestono della loro camicetta e gli uomini danzano sul tappeto a pois. Ed e' partner trovato, partner perso. E c'e' molto da pagare quando il violino smette.
E' ora di chiusura
Tutte le donne si svestono della loro camicetta E gli uomini danzano sul tappeto a pois Ed e' partner trovato, partner perso E c'e' molto da pagare quando il violino smette.
E' ora di chiusura
Siamo soli, siamo romantici. Ed il sidro e' corretto con acido. E lo spirito santo urla "dov'e' il manzo?" E la luna nuota nuda. E la notte d'estate e' profumata con una leggera aspettativa di sollievo. Cosi' lottiamo e barcolliamo giu' dal serpente e su per le scale fino alla torre dove suonano le ore benedette.
E giuro che e' successo proprio cosi': Un sospiro, un urlo, un bacio affamato. Le porte dell'amore si sono spostate di un pollice. Non posso dire dire molto di quello che e' successo da allora, ma è ora di chiusura.
E giuro che e' successo proprio cosi': Un sospiro, un urlo, un bacio affamato. Le porte dell'amore si sono spostate di un pollice. Non posso dire dire molto di quello che e' successo da allora. Ma è ora di chiusura.
Ti amavo per la tua bellezza, ma cio' non mi rende uno stupido: tu eri lì anche per la tua bellezza e io ti amavo per il tuo corpo.
C'e' una voce che suona da Dio per me, dichiara, dichiara, dichiara che il tuo corpo sei davvero tu.
E ti ho amato quando il nostro amore è stato benedetto e ti amo ora che niente rimane, solo dispiacere e senso di stanchezza.
E mi mancavi da quando il posto e' stato distrutto.
E non mi importa cosa succederà dopo.
Sembra liberta' ma la percepisco come morte. E' qualcosa tra le due, penso.
E' ora di chiusura.
E mi mancavi da quando il posto e' andato in rovina. Dai venti del cambiamento e dalle erbacce del sesso. Sembra liberta' ma la percepisco come morte E' qualcosa tra le due, penso E' ora di chiusura
Beviamo e danziamo. Ma niente sta realmente succedendo. E il posto e' morto come il Paradiso al sabato notte.
E la mia dolce compagna mi fa amareggiare e mi fa ridere. Pesa 100 Kg ma veste qualcosa di stretto..........................
E brindo alla terribile verità che non puoi rivelare alle orecchie della gioventù, tranne dire che non vale la pena.
E tutto il dannato posto e' impazzito due volte. Una per il diavolo ed una per Cristo. Ma il boss non ama queste vertiginose altezze. Siamo scoppiati nelle luci accecanti,
Scoppiati nelle luci accecanti dell'ora di chiusura.
E tutto il dannato posto e' impazzito due volte. Una per il diavolo ed una per Cristo. Ma il boss non ama queste vertiginose altezze. Siamo scoppiati nelle luci accecanti,
Scoppiati nelle luci accecanti dell'ora di chiusura
Tutte le donne si svestono della loro camicetta.
E gli uomini danzano sul tappeto a pois. Ed e' partner trovato, partner perso. E c'e' molto da pagare quando il violino smette. E' ora di chiusura. E giuro che e' successo proprio cosi': Un sospiro, un urlo, un bacio affamato. Le porte dell'amore si sono spostate di un pollice. Non posso dire dire molto di quello che e' successo da allora. Ma ora di chiusura. E ti amavo quando il nostro amore e' stato benedetto.
E ti amo ora che nulla e' rimasto E mi manchi da quando il posto e' caduto in rovina dai venti del cambiamento e le erbacce del sesso.

sabato 26 novembre 2011

Leaving Green Sleeves

Leaving Green Sleeves by Leonard Cohen on Grooveshark
Alas, my love, you did me wrong,
to cast me out discourteously,
for I have loved you so long,
delighting in your very company.
Now if you intend to show me disdain,
don't you know it all the more enraptures me,
for even so I still remain
your lover in captivity.
Green sleeves, you're all alone,
the leaves have fallen, the men have gone.
Green sleeves, there's no one home,
not even the Lady Green Sleeves.
I sang my songs,
I told my lies,
to lie between your matchless thighs.
And ain't it fine, ain't it wild
to finally end our exercise
Then I saw you naked in the early dawn,
oh, I hoped you would be someone new.
I reached for you but you were gone,
so lady I'm going too.
Green sleeves, you're all alone ...
Green sleeves, you're all alone,
the leaves have fallen,
the men have all gone home.
Green sleeves, it's so easily done,
leaving the Lady Green Sleeves.
Ahimè, amore mio, tu mi fai male,
abbandonandomi scortesemente,
perché io ti ho amato per così lungo tempo,
deliziato dalla tua compagnia.
Ora se intendi mostrarmi sdegno
non sai che questo mi cattura ancora di più.
Perché anche così resterò
tuo amante, tuo prigioniero.
Green sleeves, sei tutta sola,
le foglie sono cadute, gli uomini sono andati.
Green sleeves, non c'è nessuna casa,
nemmeno Lady Green Sleeves
Ho cantato le mie canzoni,
ho detto le mie bugie,
per giacere tra le tue cosce senza pari.
E non è bello, non è selvaggio
concludere finalmente il nostro esercizio.
Poi ti ho visto nuda alle prime luci dell'alba,
oh, ho sperato che fossi qualcuna nuova.
Ti ho teso la mano ma tu non c'eri più,
quindi signora vado anch'io.
Green sleeves, sei tutta sola...
Green sleeves, sei tutta sola,
le foglie sono cadute,
gli uomini sono andati.
Green Sleeves, è così facile,
lasciare Lady Green Sleeves

domenica 14 agosto 2011

Anthem

  Anthem by Leonard Cohen on Grooveshark
Anthem - 1992 - The futureInno
The birds they sang at the break of day
Start again
I heard them say
Don't dwell on what has passed away
or what is yet to be.
Ah the wars they will be fought again
The holy dove she will be caught again
bought and sold and bought again
the dove is never free.
Ring the bells that still can ring
Forget your perfect offering
There is a crack in everything
That's how the light gets in.
We asked for signs
the signs were sent:
the birth betrayed
the marriage spent
Yeah the widowhood of every government
signs for all to see.
I can't run no more with that lawless crowd
while the killers in high places
say their prayers out loud.
But they've summoned, they've summoned up
a thundercloud
and they're going to hear from me.
Ring the bells that still can ring ...
You can add up the parts but you won't have the sum
You can strike up the march, there is no drum
Every heart, every heart to love will come
but like a refugee.
Ring the bells that still can ring
Forget your perfect offering
There is a crack, a crack in everything
That's how the light gets in.
Gli uccelli cantavano all'alba
Ricomincia ...
Ho sentito che dicevano...
non soffermarti su cio' che e' stato
o cio' che ancora deve essere.
Le guerre saranno combattute ancora
La santa colomba sara' ancora catturata
Comprata e venduta. E comprata ancora
La colomba non e' mai libera.
Suonano le campane che ancora possono suonare
Dimentica la tua offerta perfetta
C'e' una crepa in ogni cosa
E' questo il modo in cui la luce entra.
Abbiamo chiesto segni
Ed i segni sono arrivati:
La nascita tradita
Il matrimonio consumato
La vedovanza di ogni governo.
Segni per tutti da vedere.
Non posso piu' correre con questa folla senza legge
Mentre gli assassini nelle alte cariche
recitano le loro preghiere ad alta voce.
Ma hanno raccolto, hanno raccolto
Una nuvola di tempesta
E presto mi ascolteranno.
Suonano le campane che ancora possono suonare...
Puoi comporre le parti ma non otterrai la somma
Puoi disertare la marcia, non c'e' il tamburo.
Ogni cuore, ogni cuore verra' per amare
Ma come un rifugiato.
Suonano le campane che ancora possono cantare
Dimentica la tua offerta perfetta
C'e' una crepa in ogni cosa
E' questo il modo in cui la luce entra.



sabato 13 agosto 2011

Psycho

Tutta colpa dell’appartamento. Quello di Billy Wilder. Nel senso del film, con Jack Lemmon e Shirley MacLaine. Fu proprio quella (splendida) commedia a togliere a Alfred Hitchcock e al suo Psycho la soddisfazione di un Oscar. Per la cronaca il celebre giallo del non ancora sir Alfred ebbe quattro nomination: regia e scenografia in bianco e nero, che andarono appunto a Wilder, più fotografia in bianco e nero e attrice non protagonista, Janet Leigh, finiti rispettivamente ai dimenticatissimi Figli e amanti e Shirley Jones (Il figlio di Giuda). Ne è passato di tempo da quel 1960 e forse l’Academy, potendo ripensarci, farebbe altre scelte. D’altra parte Hithcock nella sua lunghissima (cinquantun’anni!) carriera di Oscar per la regia non ne ricevette mai manco mezzo. Roba da matti.

Dunque è trascorso mezzo secolo da Psycho. Con l’acca in America e nel resto del mondo, e senz’acca, ovvero Psyco, in Italia. Hitchcock ne ha fatti probabilmente di migliori, ma questo resta il suo marchio di fabbrica, il più celebre, il più terrificante e, senza dubbio, il più visto. Eppure il film ebbe una gestazione a dir poco difficile: la Paramount tergiversò, prima con la minaccia di un budget ridotto, poi tirando fuori la scusa pietosa che tutti gli studi erano occupati.

Ma ci voleva altro per smontare Hitch, che si rivolse subito alla Universal, ottenendo un preoccupato sì. Con l’imposizione di tempi strettissimi per la lavorazione e di uno sceneggiatore a basso costo, tale Joseph Stefano, un giovane newyorchese di origine italiana. L’uomo che ci voleva.

Hitchcock terminò le riprese in quarantadue giorni, un record di rapidità. Trovando però un inatteso alleato in Il fantasma dell’opera, un famoso film muto con Lon Chaney girato addirittura nel 1924, da cui ereditò, intatta, la casa spettrale, di fianco al motel maledetto, dove abita con mammà lo psicopatico Norman Bates. Una specie di villa gotica, che mette i brividi anche da lontano, con la fattiva complicità delle strizzevoli musiche di Bernard Herrmann. Ma ce ne vuole prima di arrivarci.

Chi ha visto Psycho (o Psyco) almeno una volta non può aver dimenticato la scena iniziale con Janet Leigh, una bionda naturalmente, come piaceva a Hitchcock, che in castissima sottoveste amoreggia con John Gavin, fin dove permetteva la censura. Quindi a torso nudo lui, in reggiseno (bianco) lei. Sarebbe stato più efficace il contrario, ma quelli erano i tempi. Poi la ragazza frega quarantamila dollari all’agenzia immobiliare in cui è impiegata, a fianco della figlia di Hitch, Patricia, bruttarella forte. Corre a casa, cambia la biancheria, infatti il reggiseno stavolta è nero, e parte per raggiungere il fidanzato. Per lei cominciano i guai. Per lo spettatore gli incubi.

Primo salto sulla poltrona quando lo zelante poliziotto s’avvicina alla macchina di Marion, che dorme sul ciglio della strada. Il secondo poco dopo, quando lo stesso agente, guarda con sospetto la fuggitiva ferma da un rivenditore d’auto, gli rifila la sua e ne compra, in contanti, una nuova. La pelle non è ancora d’oca, ma non manca molto. Basta arrivare al motel maledetto. Gli uccelli impagliati fanno una certa impressione, a Marion come allo spettatore e anche lo sguardo dell’allucinato Anthony Perkins manda lampi poco rassicuranti.

Ed ecco la doccia, che neanche i ripetuti successivi, meticolosi lavaggi di Edwige Fenech, sono riusciti ad offuscare. Janeth-Marion si spoglia, mostrando, a differenza dell’Ubalda, soltanto le caviglie, entra, tira la tenda e apre il getto d’acqua. Il resto lo conoscono a memoria anche i bambini dell’asilo. Ciò che forse ignorano è che per girare quella scena di quarantacinque secondi, Hitch ci mise una settimana, utilizzando ben tre controfigure della pudibonda vittima designata. Sul cui corpo, si badi bene, nonostante le tante, micidiali coltellate non resta neppure un segno. Nelle mani di un altro regista, specie oggi, il cadavere sarebbe più malconcio di una tela di Fontana.

Il tempo di riaversi dalla fifa blu e piomba in loco il povero investigatore Milton Arbogast, pronto a stramazzare sulle scale in una scena da far saltare il cuore ben in più su della gola. Per tacere della sequenza finale in cantina, con Vera Miles, guarda caso un’altra bionda, nel ruolo di Lila, la cocciuta sorella defunta. Ce ne vuole insomma prima che la palpitazione torni normale. Intanto il film, per festeggiare il cinquantesimo anniversario, torna in questi giorni nelle sale di tutt’Italia. E al noir in Festival di Courmayeur, il 12 dicembre lo vedremo in un rimasterizzato digitale 2K.

venerdì 22 luglio 2011

venerdì 1 luglio 2011

Interiors di W. Allen

INTERIORS (1978)
di Woody Allen
Interiors è la prima pellicola drammatica girata da Woody Allen ispirata in buona parte allo stile di Ingmar Bergman. Nelle prime inquadrature, le stanze vuote, il dramma interiore, come le immagini di natura e morte dello spirito fanno tornare in mente i temi del regista svedese. (Ma anche – e direi sopratutto-nel lungo travelling dove Renata e Flyn camminano, richiamando Alma ed Elisabeth in Persona).
Il film comincia dopo alcune inquadrature silenziose con quella del padre di Renata, Yoey e Flyn, di fronte alla finestra del suo ufficio con la schiena rivolta verso il pubblico che fa una sorta di riepilogo inatteso del film:
Un abisso si era creato sotto i nostri piedi e mi ritrovai una faccia che non riconoscevo..
Si era creato un mondo in cui ci limitavamo ad esistere, dove ognuno di noi aveva il suo posto. Come in un palazzo di ghiaggio.
Tutto si muove attorno ad Eva (Geraldine Page) un’arredatrice di interni, silenziosa ma mai così presente (se anche poco visibile) nella storia, umori, gelosie e sensi di colpa delle sue tre figlie.
Tre donne completamente differenti ma complesse.
Renata è una poetessa di successo ma sovvenzionata dalla casa editrice del padre. Da questo fatto nasce una sempre e più crescente malinconica frustrazione:
“la mia crisi è cominciata un anno fa: pensieri sulla morte, preoccupazione sulla mia precarietà. A cosa seve lo scopo creativo, che fine ha? Quale traguardo?
Sentimenti che sfogherà con le sue vittime di turno: Flyn, in primo luogo, il marito Frederick ed Eva.
Verso Flyn manifesta sempre una crescente gelosia e non fa altro di smussare i suoi sogni, figli di un graffiante segno d’idecisione. Renata sa esattamente quando infierire e proprio quando la sorella le mostra la sua continua venerazione non manca all’appuntamento . Sa che in questo mare agitato che coglie ognuna di loro forse è la più forte e cambia ripetutamente avversario. Ma ci sono attimi in cui soffre nella noia che scava dentro lei, in pensieri che disperdono nel nulla:
“Ho avuto come un’improvvisa chiara visione della vita e tutto era così atroce e predatorio. E’ come se io fossi quì e il mondo altrove: non riusciva a metterci insieme. Improvvisamente divenni cosciente del mio corpo. Mi sentivo provvisoria, una macchina funzionante e pronta a grippare in qualsiasi istante. Mi metto paura perchè sono nell’età in cui mamma ha cominciato ad avvertire segni di tensione”
Altro avversario è il suo compagno Frederick, un indeciso e a volte spocchioso scrittore che non mancherà mai di rivendicare la sua carriera professionale non frutto di sovvenzionamenti come la compgna e prorio per questo quasi del tutto inattiva. L’uomo si rifugia spesso nell’alcool e nel dissapore della creatività, ma non mancherà di ribadire la sua “normalità” verso un’ambiente artistico altezzoso.
“Non scrivo per la posterità. Divento una belva se la metà del pattume che si stampa la portano alle stelle”
Se l’avversario è il suo compagno, Renata non mancherà ad avvicinarsi a Flyn, quando confida d’improvviso i suoi problemi, disinibendosi, aprendosi alla sua solitudine. Forse capisce che l’arte non la salverà. Allora è il momento di sfoggiare una nuova forma d’egoismo. E a chi confidarlo, se non alla sorella maggiormente indecisa?
Il lungo travelling che le accompagna è indiscutibilmente una delle sequenze più belle del film, dove il vento eleva granelli di sabbia e il mare rumoreggia attorno a due donne insicure ma mai così comprensive ed esigenti l’una verso l’altra.
Fly è dunque la donna rovinata dall’indecisone perenne che la tormenta e non la fa trovare un proprio equilibrio. Adulatrice di Renata ha un cattivissimo e a tratti isterico rapporto con il compagno, un ragazzo dedito alla politica, dal quale sfugge a qualsiasi discorso che riguardi il loro futuro. E’ terrorizzata di avere un figlio perchè non ne trova un senso..
“Sfornare slogan e bambini fagocitata da uno stile di vita anonimo. Io voglio dare un senso alla mia vita” (così si rivolgerà al proprio compagno quando le chiede una risposta sul loro futuro)
Tutto si muove su queste personalità così vicine (le sorelle fin qui descritte) e diverse(Arthur -Joey)
La terza sorella è un attrice in erba che cresce lontana dal dramma della propria famiglia non scoprendo tutti quei meccanismi manifesti e celati che la metteranno a terra. Joey non cede al crollo inevitabile, perchè i suoi sogni non sono sepolti dalla negazione o dall’ira. E difatti quando muorirà Eva, sarà l’unica delle tre che piangerà quando posa i fiori sulla tomba in un sempre e più malinconico silenzio. Joey non ha il mostro dentro, come d’altra parte Arthur, che reagisce all’immobilismo di una famiglia borghese americana, cambiando la propria vita, ovvero sposandosi con una nuova donna, Pearl, presentata prima in una cena dove l’argomento principale è stato un delirante commento su un’opera teatrale alla quale risponde con la semplicità, la normalità e a tratti con la “rozzezza” di non chi non è abituata ai salotti..
Il matrimonio di Arthur e Pearl è frutto di complicità e in piccola parte di provocazione, quando in modo diretto e brutale confida alle due figlie i sentimenti che prova verso la donna , a cui lo sbigottamento e l’icredulità sono la risposta.
L’equilibrio si rompe definitivamente perchè Eva è onnipresente e complice nella vita delle due figlie. Il fumo resta nei corridoi cupi e nelle teste stese in aria. Nella prima notte di nozze passata dalla nuova coppia Eva è tra le ombre delle stanze silenziosa e Flyn prigioniera della madre sente i rumori della sua presenza pur non vedendola. Flyn le parla ugualmente come in trance:
Non dovresti essere qui.. non questa sera.. Hai l’aria così stanca, strana. Mi sembrava che fossimo sole come in un sogno. Non essere così triste. Mi fa sentire totalmente in colpa. Questo senso di colpa mi consuma.
E’ un’ironia perchè ti trovo così perfetta. In tutte quelle stanze perfettamente immobile, tutto così sotto controllo.. non c’era spazio per dei sentimenti veri tra nessuno di noi… Solo Renata che non ti ha dedicato un briciolo del suo tempo. Tu adori Renata? Tu adori il talento?”
Confessa la tua rabbia perchè non sei una donna malata. La verità che c’è stata cattiveria, un’ostinazione calcolata. Al centro di una psiche malata c’è uno spirito malato. Ma ti voglio bene e non possiamo perdonarci a vicenda…”
Eva dapprima correrà tra le onde tumultose del mare (unica colonna sonora e brano musicale del film) che la sommergeranno. Flyn, travolta nuovamente dal senso di colpa e dalla disperazione la rincorrerà, ma verrà salvata dal proprio ragazzo e da Pearl.
Tre sorella osservano ora il mare dalla finestra:
“Il mare è così calmo..” (Flyn)
“Si, c’è una maggiore pace..” (Renata)
Fine…..

martedì 28 giugno 2011

Gertrud

Bellissima, poetica storia di una donna che ha eletto l'Amore a religione. Gli uomini della sua vita, quelli che ha davvero amato e l'ultimo, che ha sposato in un momento di disperazione personale, credono di amare, di amarla, ma lei in realtà smaschera sempre la loro incapacità di donare sé stessi, con purezza assoluta. Gli uomini non riescono, come lei, a mettere l'Amore al centro della loro vita: ricerca di successo, ambizione, il lavoro, tanti impegni in qualche modo riescono sempre ad avere la priorità sull'Amore.

domenica 26 giugno 2011

Mother and sun

Vibrante, una pellicola straziante dove le immagini sono volutamente piatte come la superficie di un quadro: una scelta che affida la tridimensionalità non alla simulazione dello spazio ma alla profondità dei sentimenti.

J'e intends plus la guitare

La femme de l'aviateur

sabato 25 giugno 2011

mercoledì 22 giugno 2011

Je vous salue Marie (Jean-Luc Godard, 1985)

“Dell’amore non ho visto che l’ombra, anzi l’ombra di un’ombra. Come quando vidi in un lago il riflesso di un fiore che si agita al ritmo delle onde. L’immagine del fiore sfugge allo sguardo. Come succede a me nel mondo che mi circonda.” (voce over di Maria).


Gabriele annuncia a Maria, figlia di un benzinaio, la nascita di un figlio e Giuseppe, suo fidanzo e tassista, pensa che Maria frequenti un altro uomo, ma Maria è incinta e vergine allo stesso tempo. Il film scatenò molte polemiche e si mosse persino il Papa che il 4 maggio 1985 recitò un rosario di riparazione. A Cannes, dove stava presentando il suo ultimo film, Detective, Godard ricevette una torta in faccia da parte di un certo Noël Godin (Noël in Italiano significa Natale), un situazionista Belga, che volle protestare contro il regista “passato al nemico” (1). Godard affermò che il Papa, in quanto vero autore del soggetto, aveva tutto il diritto di protestare, chiedendo allo stesso tempo che il film, almeno in casa del Papa (Italia) venisse ritirato, ma il distributore italiano si rifiutò. Je vous salue, Marie in realtà non è affatto provocatorio e neppure blasfemo, anzi, se qualcuno volesse vederlo come un gesto d’amore verso il mistero della fede potrebbe benissimo accettare il film come un omaggio alla religione. Ma il film è una poesia d’amore e allo stesso tempo è un film sulla purezza e la verginità dell’immagine. Il percorso intrapreso da Godard sin dal suo À bout de souffle in quanto ricerca della conoscenza e del suo mistero, raggiunge il suo apice con questo film. Il dispositivo cinematografico, che tanto interessa a Godard, lascia il posto alla poesia delle immagini e alla possibilità di accettare, senza preoccupazioni, il mistero dell’immagine, ma soprattutto della sequenza. È un atto estetico di ineguagliabile potenza, un gesto profondo di affermazione delle possibilità del testo e del suo mistero che non deve essere sezionato, ma solo accettato. Giuseppe, che in un primo momento non capisce, si agita, cerca di possedere Maria, è geloso per amore; quindi si rende conto che Maria è un’anima che ha assunto un corpo. Capovolgendo il concetto di corpo con anima, Godard ci mostra un percorso che porta all’evoluzione di un’anima che si fa corpo. Giuseppe accetta il mistero della vita, tra l’amore e l’egocentrismo sceglie l’amore e così facendo riesce a penetrare nel mistero delle cose, guardando per la prima volta il corpo nudo di Maria, sfiorandolo senza possederlo. L’essere supera l’avere, lo domina; l’avere subisce un’involuzione e quando il ciclo si compie, il corpo finalmente prende il sopravvento. Conoscere non significa sezionare, ma sanzionare, non tagliare (nel cinema formare sequenze) ma ratificare (nel cinema cercare il fulcro dell’immagine). Maria ad un certo punto dice al ginecologo: “Sto per avere un bambino dottore. Nessuno mi accarezza. Nessuno mi tocca. Lo vede sono vergine. E questo significa… essere disponibile. O libera. E non procurare dolore”. L’assunzione di un corpo, scoprire l’importanza del proprio corpo, è l’atto stesso del guardare, è il momento cinetico del tocco cinefilo nei confronti dell’immagine disponibile. Ossia, disporre di un’immagine non significa possederla (nel senso di occuparla) ma sfiorarla, toccarla, persino odorarla (ah, se il cinema fosse anche olfattivo!), accettando la sua purezza e il mistero che la attraversa. Spiegare significa aprire, significa penetrare nel corpo, ma anche togliere purezza, ridurre, trasformare in cliché. Nel film identificherei tre momenti fondamentali: a) Tango, b)Computer c) In quel tempo.

Tango. Non la danza argentina ma il “tocco” (la prima persona del tempo presente modo indicativo del verbo toccare in latino, paradigma: tango,tetigi,tactum,tangere). Tango, io tocco. Il tocco dell’audace che sfiora il frutto proibito, che osserva il pube nudo di Maria amandolo come pura visione, nel rispetto della volontà cinefila della benzinaia che sta per diventare madre di Dio. Toccare il cinema senza spiegarsi il mistero ma accettando il mistero, lasciandosi “occupare” dalle emozioni da esso sprigionate. L’anima (Maria mette benzina, fa canestro e ama Giuseppe) comincia ad avere consapevolezza del corpo solo quando Gabriele le ordina di rimanere vergine. E nel film queste immagini non sono classiche, ossia durevoli, legate al concetto mentale fondato un secolo prima di un cinema (per dirla alla Greenaway) che deve ancora nascere. Invece sono immagini disturbate, spezzate, immagini che non si lasciano comprendere, che s’interrompono d’improvviso, così come si interrompono le musiche di Dvořák, lasciando la diegesi fuori dalla porta. In altre parole le nostre aspettative di sviluppo della trama vengono continuamente deluse, relegate in un limbo perso, depurate dalla significanza. Qui è il senso che stiamo cercando, non la sensualità. E in effetti Godard ci mostra il corpo di Maria privo di ogni erotismo, ci mostra Maria nuda sul letto che si agita a gambe aperte con un’inquadratura che dura qualche minuto, ma nonostante ciò, non c’è erotismo (e a maggior ragione pornografia), ma solo la carne che sta prendendo il sopravvento. Mai un’inquadratura di un pube tanto lunga, aveva destato in me attimi privi di pensieri erotici, ma pieni del desiderio di leggere poesie d’amore. Insomma balliamo un tango con l’immagine, tocchiamola, percepiamola; non usiamo il bisturi ma i polpastrelli.

Computer. C’è una storia parallela nel film. Oltre alla storia di Maria e Giuseppe, c’è la storia tra un professore-scienziato che cerca di dimostrare l’esistenza di “un’intelligenza anteriore” in modo scientifico ascoltato da Eva, una studentessa che gioca con il cubo di Rubick. Questa storia è il contrappasso della prima. Il professore ama la natura, vorrebbe conoscere scientificamente (quindi utilizzando il computer) l’origine della vita, convincendosi che all’origine di tutto non può esservi il caso, ma una mente superiore. Eppure il suo “metodo” non è quello giusto (Godard direbbe che non sta cercando l’immagine giusta ma non giusto un’immagine). Ha una relazione con una studentessa, Eva, che il professore abbandona per tornare alla sua famiglia in Cecoslovacchia. C’è una scena in cui vediamo Eva nuda che si accende una sigaretta dopo avere fatto all’amore col professore. In questa immagine il corpo nudo di Eva, seppure visto come figura intera (e non come il pube di Maria visto nel dettaglio) sprigiona un intenso erotismo. Il corpo di Eva è un corpo con anima che classicamente suscita desideri diegetici (l’attrice tra l’altro è di una bellezza folgorante), e in effetti i pochi secondi della visione suscitano desiderio di possesso, curiosità di ri-vedere l’atto non visto dei due corpi che si sono amati. Ma il professore, che professa di voler conoscere, non riesce neppure a rispettare il dono avuto, perché il suo metodo (sezionare) può solo procurare tagli; non accettando il corpo, rimarrà sospeso nel limbo dei se e dei come, spiegandosi all’infinito ciò che crede di aver capito. Il suo mondo è una continua tentazione, e quindi è un continuo attraversare il sintagma perdendo la portata profonda dell’onda lunga che dall’interno forma le immagini. Vivendo nella storia univoca non potrà apprezzare la trinità dell’immagine (anima, corpo, luce).

In quel tempo. Nel film c’è una didascalia (tanto amate da Godard) che spesso interrompe il flusso dell’immagine dov’è scritto en ce temps là (in quel tempo). Quando? Come? La storia è ambientata in una Ginevra degli anni ottanta, Maria è una benzinaia, Giuseppe un tassista, Gabriele arriva in aereo con una bambina, ma il film inizia con la frase: en ce temps là. La storia in effetti è la Storia. Il mistero della creazione, Dio, la Sua venuta sulla terra in quel tempo. La Storia è sempre quella, e la natura, le stelle, le nuvole, il sole stanno innanzi a noi per ricordarcelo. Le immagini di Maria, di Giuseppe, della stazione di benzina, della palestra, sono interrotte spesso da immagini della natura: la Luna che si staglia in un cielo nero, il sole giallo del giorno o rosso del tramonto e le nuvole, sole e nuvole, l’acqua del Lago di Ginevra che s’increspa. Sono immagini che ritornano durante il film, e che durano, che insistono, che non spezzano solo le “altre” immagini (quelle moderne, quelle flebili degli uomini) ma le deformano, schiacciandole verso un senso assoluto. Sono immagini di una natura incontaminata che contrastano con l’aereo, il taxi, il pallone del basket? Non sono immagini e basta, sono esse stesse forme d’arte, pittura. Isolate nell’immagine, slegate dalle storie (in effetti non legano con le altre immagini per formare il sintagma ma penetrano nelle altre immagini per formare la polisemia) queste immagini della natura non vogliono rievocare il mondo incontaminato né riportarci a duemila anni or sono per riscoprire la storia dell’origine del Cristianesimo, ma sono una serie che si sviluppa di per sé per approdare agli stessi risultati cui giunge Giuseppe. En ce temps là è ieri, è un milione di anni fa, è oggi: la natura è incontaminata e quindi ieri? No, un treno improvvisamente attraversa un paesaggio “incontaminato” e l’immagine attende che esca fuori da se stessa per ritornare a essere “incontaminata”. È osservando il particolare del treno che ho forse imparato ad accettare il mistero. Qui il sapere è cambiato tre volte: da natura a tecnologia e nuovamente natura; ma la mia mente dopo il treno non ha più guardato la stessa immagine come nel primo momento. Allora non ho imparato nulla? Può darsi. Io non so niente. Devo solo guardare.

Dopo aver partorito il figlio e dopo che il figlio, dopo alcuni anni, lascerà Maria e Giuseppe, Maria non si preoccupa. “Tornerà a Pasqua”. Maria riacquisterà il suo corpo di donna e l’erotismo e si truccherà le labbra di rosso. Il primissimo piano della rossa bocca aperta di Maria sembra l’altra faccia del sole, un astro in cielo o un disco volante.

“Credo che lo spirito agisca sul corpo. Lo trasfigura. Lo copre di un velo che lo fa apparire più bello di quanto non lo sia in realtà. Che cos’è dunque la carne stessa?” (voce over di Maria).
- E' vero che l'anima ha un corpo?
- Ma cosa stai dicendo? E' il corpo che ha l'anima!
- E' molto triste: credevo il contrario.